“La scienza è politica” è stata la mia prima rubrica, nata nelle mie storie Instagram nel 2019. Ogni volta che uso questo slogan, ottengo almeno qualche reazione opposta, ma ugualmente infastidita, da chi fa scienza e da chi se ne interessa.
Questi commenti, per esempio, mi sono giunti in risposta a un mio reel in cui elencavo “5 motivi per cui secondo me (e non proprio solo secondo me) la scienza è politica”. Tra i motivi, facendola pure piuttosto facile, menzionavo:
chi può accedervi (perché non tutto ciò che si pubblica accademicamente è disponibile a chiunque - neppure a chiunque faccia ricerca! - ancora meno lo sono i dati);
chi la paga (perché i fondi non sono certo gli stessi per ogni ateneo, per ogni disciplina, per ogni progetto - e chi li finanzia ha un peso, tanto che va sempre specificato, così come i potenziali conflitti d’interesse);
chi la fa (perché le carriere accademiche non sono affatto accessibili a chiunque, e perché pochi gruppi di ricerca si interrogano sul fatto che la loro identità possa influenzare in vari modi la ricerca);
su chi o che cosa la fa (perché già solo decidere che qualcosa sia degno di essere esplorato, e in che ottica, ha una serie di implicazioni raramente discusse);
su chi o che cosa ha conseguenze (perché la scienza è un processo che quasi sempre ne informa altri: spesso la scienza si fa didattica, pratica, comunicazione - talvolta si fa addirittura policy; quasi mai si fa dialogo con chi di questi processi è parte, anche se si osserva qualche miglioramento).
Riconosco che per chiunque si occupi di questi temi da un punto di vista critico queste siano delle ovvietà - anche se non per chiunque faccia scienza, anzi, tutt’altro. E infatti nei miei sogni più spinti, le persone esperte di epistemologia - che trovano banale che la scienza sia politica - rispondono alle decine di commenti opposti, che dipingono la scienza come un’attività aperta a chiunque, meritocratica e/o pressoché infallibile, che non può essere democratica e produce verità assolute.
Purtroppo quando sono sveglia questo non accade - e, sebbene ogni persona che faccia ricerca sappia in cuor suo che la scienza è un’attività umana come tutte le altre, e come tale è soggetta a tutte le distorsioni e le influenze socio-culturali del caso (poi c’è chi cerca di eliminarle e chi le dichiara, poiché non crede che eliminarle sia possibile, ma che ci siano è pressoché incontestabile), per qualche motivo la comunità scientifica e soprattutto la divulgazione mainstream sembra aver deciso che questa sua caratteristica dovesse rimanere segreta. Ed è così (o almeno, è anche così) che la cittadinanza, invitata a “credere nella scienza”, si è ritrovata confusa dai suoi fallimenti - nello stesso periodo in cui la politica, felice di lasciare il lavoro sporco a chi sbraitava con convinzione che “la scienza non è democratica”, scopriva che tradurre in policy i “dipende” che la scienza (quella vera, non quella idealizzata e banalizzata dei caroselli su Instagram) continuamente produce non era poi così facile1.
Io voglio parlare a chi ha visto questa contraddizione, a chi è ancora nel mezzo di quella confusione, ma anche a chi ancora “crede nella scienza” (se avrà voglia di leggermi e ascoltarmi): sebbene non sia una religione, la scienza ci fornisce delle approssimazioni utili sui fenomeni che ci riguardano e che ci circondano - forse, in effetti, le migliori che abbiamo (non avrei fatto un dottorato di ricerca se non lo pensassi).
Tuttavia è importante ricordare che si tratta di questo, dei nostri tentativi di descrivere, nominare e comprendere la realtà attorno a noi - tentativi che, tra l’altro, si rivolgono pure verso la scienza stessa (con le riflessioni teoriche sull’epistemologia, ma anche con gli strumenti della metascienza o degli studi sulla scienza e sulla tecnologia2, per esempio).
Nel mio lavoro di scienziata cognitiva, in cui studio la cognizione sociale e la comunicazione in autismo e nella neurotipicità3, ma anche nelle discussioni in cui mi trovo coinvolta come “divulgatrice”, mi scontro spesso con l’idea che una maggiore attenzione alle istanze politiche e sociali delle comunità comporti necessariamente un minore rigore scientifico.
Di recente, diversi gruppi di ricerca si sono scontrati su questo tema sulle principali riviste di settore per l’autismo: da un lato chi sostiene che rifiutare quadri teorici abilisti comporti sacrificare concettualizzazioni "scientificamente accurate", dall’altro, chi argomenta che:
(1) anti-abilismo vs. accuratezza scientifica è una falsa dicotomia, (2) non esiste una scienza priva di ideologia che possa rivendicare l'accuratezza scientifica, e (3) la scienza sull'autismo ha una storia di false piste in parte dovute proprio a ideologie abiliste rimaste non analizzate, su cui poggiavano il quadro e l’interpretazione dei risultati”4.
Forse, una possibile chiave di volta di questa polarizzazione potrebbe risiedere in questo punto 3, che descrive la storia di moltissimi ambiti di studio - storia in larghissima parte riconosciuta dalla comunità scientifica nel suo insieme. Quanti errori di valutazione abbiamo fatto nella convinzione di essere neutrali? Quanti ancora abbiamo intenzione di farne, per non risultare di parte? Possiamo forse trovare strumenti, politiche (!) o metodi per non esserlo? O forse ammettere la parzialità della nostra visione (e non solo dei nostri risultati) è l’unica via possibile per vederne meglio i buchi e le zone d’ombra?
Senza citazioni
Alla fine di ogni newsletter mi permetterò di lasciare un trafiletto libero da riferimenti bibliografici di quanto dico - perché un’opinione informata è valida anche quando non esistono fiumi di articoli scientifici a supporto, e perché non voglio limitarmi a poter parlare solo di ciò di cui qualche altra persona ha già parlato.
In questo primo numero - che racchiude un po’ i motivi per avere questa newsletter qui, con questo nome qui - lo userò per dire perché, secondo me, è importante ricordarsi che la scienza è politica, è immersa in un contesto, ed è un tentativo (fallibile e limitato per scopi, strumenti, risorse umane ed economiche) di descrivere e comprendere una realtà troppo complessa.
Io credo sia importante perché la scienza ci dice un sacco di cose su di noi e sull’Altro da noi - che possono condizionarci anche oltre il nostro volere, oltre la possibile utilità di un dato che poi potrebbe non riguardarci davvero. Credo sia importante perché una scienza che non è al nostro servizio, una scienza che ci fa male (o che fa male a una qualsiasi porzione di umanità - e non solo), per quanto possa essere rigorosa, non ci serve (scusa il gioco di parole). O almeno, io non la voglio e non voglio farne parte. Per questo ho lasciato la carriera accademica, e per questo ho deciso di parlarne qui.
Semini per menti curiose 🌱
Mi capita spesso di trovare cose interessanti o importanti in giro per l’internet ma non solo, di cui non so abbastanza per parlarne ma che vorrei condividere. Per non esaurire la memoria del telefono delle persone a me piu vicine, ecco a te:
- , una che di politicità della scienza ne sa, ha scritto nella sua newsletter Fate ə monellə una cosa bellissima sulla malattia e i suoi tempi verbali - e mentali. Quel numero si chiama “Presente progressivo”. Lo consiglio da psicolinguista e da amica.
ChiaraCielo Longobardi nella sua newsletter bilingue “An accessibility link a day” ha condiviso questo “giochino” utile a ragionare sull’accessibilità senza leggere fiumi di pagine impegnative: si tratta di una collezione di testi alternativi di selfie (a cui si può contribuire), nato per fare awareness su quante informazioni preziose possa dare a una persona disabile una semplice descrizione.
Manuela D'Alessandro, su AGI, pubblica “I nomi (e le storie) dei 65 detenuti che si sono suicidati in carcere quest'anno”. Io l’ho intercettata sul numero 37 di PIOMBI, la newsletter di Associazione Closer.
Quando e dove mi trovi questo mese
In questa sezione raccoglierò date, link e informazioni su incontri, contenuti, servizi ed eventi prossimi e recenti. Potrebbe essere più utile a me e a mia madre che a voi.
A settembre mi troverai a Foggia, a Milano, a Piacenza e online. Sarò:
il 10 settembre (dalle 21 alle 22) al Rarí Fest, il Rainbow River Festival, che credo sia il primo festival queer della provincia foggiana, dove sarò in dialogo in una tavola rotonda sul tema "Non conforming euphoria: attivismo sui e per i corpi", in cui ovviamente parlerò di corpi neuroqueer;
il 12 settembre (dalle 9 alle 13) al Politecnico di Milano dove terrò una lecture a tema “Disability and Technology” entro la cornice del corso dottorale “Technology and Inequality” del professor Paolo Volonté, al suo secondo anno;
il 20 settembre (dalle 17:30 alle 18:30) al Festival del Pensare Contemporaneo di Piacenza, dove porterò un laboratorio per comprendere e coltivare la neurodiversità, che chi l’ha organizzato ha pensato bene di chiamare “laboratorio di pensiero” - giusto per non mettermi alcuna pressione;
il 24 settembre (dalle 18 alle 19) online per presentare il mio libro, “Neurodivergente”, entro la cornice di "Aspettando DiParola" - una rassegna in vista di DiParola Festival, dedicato al Linguaggio Chiaro Inclusivo Accessibile, che si terrà il 3 e 4 ottobre sia online che in presenza, a l’Aquila.
Magari ci riesce di incontrarci da qualche parte. Altrimenti ci rivedremo qui, il 2 ottobre, se non correrai a cliccare “Disiscriviti”. Anzi, magari dimmi come mi hai trovata: troppo lunga, troppo corta, troppo seria, troppo scanzonata, “praticamente perfetta sotto ogni aspetto”, “ritenta, sarai più fortunata”?
Imparo da te, da voi. A presto, spero!
| @narractionUn interessante articolo di Lavinia Del Corona per uno speciale/Atti di Convegno de “L’Osservatorio sulle Fonti”, “La fiducia nella scienza alla prova dell’emergenza sanitaria da Covid-19”, ripercorre quei momenti e illustra questi temi in modo decisamente più eterodosso del mio.
Sul profilo di IncoScienza trovate un’introduzione video agli Studi sulla Scienza e la Tecnologia in 5 minuti ad opera di Roberta Spada, ormai dottoressa di ricerca proprio in STS (nonostante il suo nome account, in verità non si occupa di Metascienza, che è una disciplina più dura su cui chi ama la statistica potrà trovare diverse newsletter (qui una che approccia il tema criticamente, ad opera di Mark Rubin, professore di Psicologia) e discussioni online (chi fa Metascienza ha il pallino dell’open science per definizione).
Chi legge in inglese può trovarne un esempio open access piuttosto rappresentativo sul sito di Cambridge University Press: “Impairment or difference? The case of Theory of Mind abilities and pragmatic competence in the Autism Spectrum”.
Il testo è di Bottema-Beutel e colleghi - e che colleghi! - (2023), la traduzione è mia. Chi legge in inglese può trovare il paper in open access su Frontiers in Psychiatry: “Anti-ableism and scientific accuracy in autism research: a false dichotomy”.
Ma evviva, che bello leggerti anche qui!
È valsa l'attesa! NL superrrr 🔥🔥🧡💚